Ero stanca di essere donna, stanca di cucchiai e pentole, stanca della mia bocca e dei miei seni, stanca di trucchi e sete. Alla mia tavola c’erano ancora uomini seduti, raccolti intorno alla coppa che offrivo. La coppa era colma di chicchi di uva viola, e vi ronzavano attorno mosche per l’odore, e anche mio padre giunse con il suo osso bianco. Io però ero stanca del genere delle cose. La notte scorsa ho fatto un sogno, e gli ho detto… “tu sei la risposta, tu sopravvivrai a mio marito e a mio padre”. Nel sogno c’era una città di catene, dove Giovanna fu messa a morte in abiti maschili, e la natura degli angeli non era spiegata, non c’erano due della stessa specie, chi col naso, chi con l’orecchio in mano, chi masticava una stella misurandone l’orbita, ognuno obbediente a se stesso come un poema, facendo le veci di Dio, un popolo differente. “Tu sei la risposta” dissi, ed entrai, sdraiata alle porte della città. Poi fui messa in catene, e persi il mio genere e l’aspetto finale. Adamo era alla mia sinistra, Eva alla mia destra, entrambi in contrasto con il mondo razionale. Intrecciammo la braccia, e cavalcammo sotto il sole. Non ero più donna, né una cosa, né l’altra. O figlie di Gerusalemme, il Re mi ha condotto nelle sue stanze. Sono nera e bella. Sono stata aperta e spogliata. Non ho né braccia né gambe. Sono tutta di pelle come un pesce. Non sono più donna di quanto Gesù fosse uomo.
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