Si è arrivati a questo: siedo sotto un albero, sulla sponda d’un fiume in un mattino assolato. E’ un evento futile e non passerà alla storia. Non si tratta di battaglie e patti di cui si studiano le cause, né di tirannicidi pieni di memoria.
Tuttavia siedo su questa sponda, è un fatto. E se sono qui, da una qualche parte devo pur essere venuta, e in precedenza devo essere stata in molti altri posti, proprio come i conquistatori di terre lontane prima di salire a bordo.
Anche l’attimo fuggente ha un ricco passato, il suo venerdì prima di sabato, il suo maggio prima di giugno. Ha i suoi orizzonti non meno reali di quelli nel cannocchiale dei capitani.
Quest’albero è un pioppo radicato da anni. Il fiume è la Raba, che scorre non da ieri. Il sentiero è tracciato fra i cespugli non dall’altro ieri.
Il vento per soffiare via le nuvole ha dovuto prima spingerle qui.
E anche se nulla di rilevante accade intorno, non per questo il mondo è più povero di particolari, peggio fondato meno definito di quando lo invadevano i popoli migranti.
Il silenzio non accompagna solo i complotti, né il corteo delle cause solo le incoronazioni. Possono essere tondi gli anniversari delle insurrezioni, ma anche i sassolini in parata sulla sponda.
Intricato e fitto è il ricamo delle circostanze. Il punto della formica nell’erba. L’erba cucita alla terra. Il disegno dell’onda in cui s’infila un fuscello.
Si dà il caso che io sia qui e guardi. Sopra di me una farfalla bianca sbatte nell’aria ali che sono soltanto sue e sulle mani mi vola un’ombra, non un‘altra, non d’un altro, ma solo sua.
A tale vista mi abbandona sempre la certezza che ciò che è importante sia più importante di ciò che non lo è.
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