Non ci siamo mica detti chissà cosa ma tu sembri così triste. Non ci siamo detti chissà cosa in tutta la nostra vita. Quindi che hai da essere così triste? Non ci siamo mai davvero detti niente di che.
Dai che quando arriverà il bel tempo ci faremo due tre passeggiate. Parleremo del più e del meno. Del tempo. Delle parole che ci siamo portati andando all'edicola.
Ma non adesso che hai tirato fuori per tutti i lunghi calzini, quelli che superano il ginocchio. Resta nel lago piccolo a cucinare, continua a lavare i panni, cuci con la vecchia macchina e fai finta di niente, lava i piatti con l'acqua fredda, lava i piatti, non lasciare questa stanza, capisci a me. E non parlarmi di certe cose, non adesso. Ancora resta mia madre ma fammi di nuovo figlio.
Perché quando sono stato male tu sei stata male. Quando sono stato bene ero troppo lontano per vederti. Quando sei stata male ho fatto di tutto per non vederti. Quando sei stata bene guardavo un po’ sì un po’ no.
Facciamo che non ti ho mai bestemmiato in faccia? Che non ho mai avuto un crollo sulle tue gambe. Che non ho mai sentito la voglia di disprezzarti e te l'abbia fatto capire così bene. Facciamo che ti abbia detto più volte che sei bella e che non importa e che avrai sempre il controllo sulla mia dolcezza tanto da lasciarla libera di spaziare e andare a incontrare le orecchie di una persona che amerò e perderò e amerò e ritroverò. Facciamo che non ti interessa se ho intrapreso certe strade. Non abbiamo mai segnato le mappe come buone o non buone. Che tu non mi abbia mai visto rubare. E però sentito tornare.
Che non sia stato presente quando sei sbracata dalla scala e papà ti stava abbracciando. Facciamo che lì non abbia visto che esiste, perché sai, vorrei averlo scoperto io quell'amore, per meriti miei, per casualità mie, per mie tristezze.
Facciamo che non ho visto. Facciamo che non facciamo che ricordarcelo. Ma senza voce. Senza dirlo. Senza che si sappia. Senza che si disperda. Teniamolo tra noi. Tra le tue gambe calde e le mie, stecche.
Il sottolineare con sbuffi il tuo guidare lento. Il pianto ieri, scusa il pianto ora.
Per averti guardato le cosce allargate dai lividi e le vene aperte, perché non sono un buon figlio.
Per non vederti stare male sul letto ho chiuso la tua porta accostata e sono sceso un piano sotto, e poi due piani sotto. Le volte che sentivo i tuoi talloni - per e dopo il bagno - restavo a resistere.
Perché tra scarpe belle e scarpe brutte ti ho sempre scelto zoccoletti orrendi. Le volte in cui ti ho sottratto la borsa dell'acqua calda nel sonno. Non ti ho detto ciao, scusa, grazie, no è colpa mia, lavo io i piatti, faccio io la spesa, porto io la spesa, non porto lacrime, non vado via.
Per tutte le volte che lucidissimo ho omesso il 'ti prometto'. Ho evitato di presentarti. Ho cercato la tristezza nel tuo portafogli. Scusa per aver insultato tua madre. Per averti fatta ridere con quegli insulti. Scusa quando ho rotto la molletta e l'ho lanciata dai vicini invece che mostrartela.
Scusami per le tue chiamate. Quando non ho risposto e vedevo per tutto il tempo con il telefono in mano scritto sul display 'CASA'. Sapevo che non era papà. Sapevo che eri tu che chiamavi dopo aver fatto i piatti di cena. Non ho risposto. Non ho risposto solo perché avevo (e ho ancora) paura che lì andasse tutto bene.
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